Le razze bovine
Nelle Marche, all’inizio dell’Ottocento, convivevano due particolari razze di bovini. L’una, quella detta “montanina”, aveva origini antichissime, era di taglia piccola ed era caratterizzata da un mantello grigio che mutava in nero nella parte anteriore dell’animale. Possedeva robusta costituzione e proprio per questo era diffusa nella zona montana, la più impervia della regione, e veniva utilizzata quasi esclusivamente per il lavoro non essendo particolarmente adatta né per la carne né per il latte. Nella necessità, dunque, di importare una razza che compensasse le lacune della prima, fu introdotta quella “chianina”, di colore bianco che, per le positive caratteristiche, è stata diffusa nel territorio fino quasi ai nostri giorni ed ha soppiantato, gia in tempi lontani, la “montanina”. Poiché l’introduzione avvenne probabilmente dall’Umbria, si parlava di una razza “perugina” dal luogo diretto di provenienza, dimenticandone l’origine toscana. Da alcuni si indica la presenza di una terza razza già esistente anticamente nelle Marche denominata appunto “antica marchigiana”, di grossa taglia, dalle lunghe corna e dall’indole paziente ed instancabile.
Venuto meno l’uso dei buoi per i lavori dei campi, sono stati costituiti alcuni allevamenti modernamente organizzati finalizzati esclusivamente alla produzione di latte e di carne.
La tradizione vuole che la notte prima della festa di s. Antonio abate, il Santo stesso si presenti nelle stalle a chiedere agli animali in quali condizioni sono tenuti dai loro padroni e se hanno lagnanze o richieste da fare. Quella notte e solo quella in tutto l’anno gli animali acquistano l’uso della parola perché possano farsi intendere da s. Antonio. Se il Santo si ritiene soddisfatto del padrone, benedice la stalla, altrimenti la maledice. Così i contadini il 16 ed il 17 gennaio facevano di tutto per tenere la stalla pulita ed in ordine in maniera da acquistare la benevolenza di s. Antonio e di avere una sorta di “assicurazione” sugli animali. Per lo stesso motivo s. Antonio era ampiamente festeggiato il giorno 17 gennaio in vari modi, compresa una solenne processione accompagnata dalla banda cittadina. Sand’Andò da la varba vianga, / co’ li sòni e co’ la vanda. Sul sagrato della chiesa venivano benedetti tutti gli animali accompagnati dai padroni compresi i buoi ben infiocchettati. Venivano anche benedetti i pani, piccoli e rotondi (le pagnottelle de Sand’Andò’), che venivano fatti mangiare alle bestie che non avevano partecipato alla benedizione o tenuti in serbo per quelle che si sarebbero ammalate. Oggi queste tradizioni sono scomparse quasi in ogni luogo. Tradizionalmente a tutti gli animali nella stalla erano attribuiti dei nomi che si ripetevano di generazione in generazione: così i buoi venivano chiamati Garbatì, Cimarè, Pumbusì, ‘Nnammurà, mentre le mucche avevano i nomi di Faorì, Fiorentì, Galantì, Viangulé. L’usanza si è tramandata fin quasi ai nostri giorni.
Tratto da “Dizionarietto delle Tradizioni e del Mangiare” del sito della Comunità Montana dei Monti Azzurri.