Il vino nell’economia della famiglia contadina
La famiglia contadina del passato, sia essa mezzadrile che diretto – coltivatrice, aveva un suo standard economico basato su quanto si ricavava dalla lavorazione della terra durante l’annata agraria, che andava dalla semina del grano in novembre fino alla vendemmia nell’ottobre dell’anno successivo. I raccolti potevano essere diversi ed erano determinati dalla bontà del terreno umido o siccitoso, di impasto leggero oppure argilloso, situato in pianura o in collina. Fondamentalmente però le entrate più importanti della famiglia contadina erano determinate dalla raccolta del grano, dell’uva e da quella derivante dalla vendita di qualche capo di bestiame allevato.
In genere con il ricavato della vendita del vino si saldavano i debiti e si faceva fronte a qualche spesa di una certa importanza. Era quindi necessario innanzi tutto farlo buono, poi riservarne al consumo della famiglia il meno possibile. Nel mese di gennaio o febbraio, si procedeva alla chiarificazione del vino con tannino e colla animale e se ne riempivano le botti, così il vino era pronto per essere venduto; il canale normale di vendita erano le osterie di città o dei paesi. La contrattazione avveniva sempre tramite un mediatore e, stabilito il prezzo, si fissava il giorno per il carico, che non poteva avvenire prima di aver pagato il dazio e ottenuto il lascia – passare.
Dopo la vendita del vino le botti rimanevano quasi vuote e quel poco che ne restava doveva arrivare fino al prossimo raccolto, ma di solito non bastava mai. La cosa importante era quella di riservarne qualche damigiana per i lavori pesanti dell’estate, quali la mietitura e la trebbiatura. Poteva capitare che qualche contadino ne rimanesse senza e questo succedeva spesso e allora quegli ne chiedeva in prestito una damigiana a quei pochi che ne avevano in avanzo. Si ricorreva anche ad alcuni espedienti, che soltanto pochi ricordano: durante la fase della lavorazione delle uve si faceva il famoso Acquaticcio, ottenuto dalle vinacce fatte fermentare in tinozza con acqua. Dopo qualche giorno il tutto veniva filtrato e lo si beveva nel giro di un paio di mesi. Il sapore era un po’ aspro, ma era comunque preferibile all’acqua del pozzo. Quando il caldo cominciava farsi sentire e la sete aumentava, per risparmiare il vino si ricorreva a un altro espediente e cioè al famoso Acetello, che era acqua mescolata a un po’ di aceto; questo infatti non mancava mai nella cantina del contadino, perché c’era sempre un po’ di vino che inacidiva. Non so se l’Acetello fosse migliore dell’Acquaticcio, forse sì, perché lo si beveva quando il caldo incominciava a farsi sentire.